Dietro le quinte del casino Trieste

Mio padre lavorava al casino Trieste e, da bambino, praticamente vivevo là dentro. Nonostante mia madre fosse contraria alla mia presenza in un luogo “di perdizione” e avesse voluto per me che passassi il tempo al parco piuttosto, non c’era altra soluzione: finita la scuola dovevo andare al casino Trieste dove mio padre avrebbe potuto controllarmi fino a che mia madre non finiva di lavorare e riusciva a venirmi a prendere sottraendomi a quel posto.

Io, naturalmente, adoravo quel posto. Tutti mi trattavano benissimo (essendo l’unico bambino), i dipendenti e colleghi di mio padre mi volevano bene e mi facevano un sacco di regali, mi preparavano sempre la merenda e, ogni tanto, in gran segreto mi facevano fare un giro alla slot machine – che doveva rimanere un grandissimo segreto, ovviamente. 

Quando mia madre mi portava via passavamo sempre per la chiesa prima di rientrare a casa, andavamo a pregare per il mio peccato, nella speranza di un perdono divino.

Il casino Trieste era l’unico in città, una manna per l’economia e per tutti i cittadini che erano riusciti a trovare un lavoro stabile, sicuro e ben remunerato. Eppure in tanti lo consideravano come qualcosa di maligno. Era un popolo di credenti, in fondo, quello della città ed il gioco d’azzardo non era visto di buon occhio. Chi lavorava al casino Trieste, d’altra parte, non poteva non apprezzare il proprio posto di lavoro e quindi si erano venute a creare due fazioni cittadine ben distinte, gente che in certi casi aveva smesso di parlarsi, frequentarsi, di essere amici. Il caso della mia famiglia era estremo! Ed io che mi trovavo nel mezzo vivevo un paradosso. Non ci facevo troppo caso all’epoca, in fondo ero piccolo e non ne capivo granchè di queste faide, ma per i miei era motivo di grandi litigate che terminavano sempre con la stessa soluzione: avrei continuato ad andare al casino ogni giorno dopo scuola finchè mia madre mi finiva di lavorare. E così continuai per anni a godere di totale libertà dentro al casino Trieste. Facevo quello che volevo li dentro, girovagavo per le sale, gli uffici, i corridoi, entravo nelle cucine, nel ristorante, potevo usare la piscina e le altalene sul retro. Nessuno mi sgridava lì, tutti mi sorridevano e mio padre era felice di poter passare del tempo con me. L’unica persona che ne soffriva immensamente era mia madre. 

Con il senno di poi, provo dispiacere all’idea che mia madre abbia sofferto così tanto, nonostante creda che il suo modo di pensare fosse sciocco. Allo stesso tempo credo di aver avuto un’infanzia eccezionale, unica e racconto sempre volentieri della mia esperienza al casino Trieste.…